GARABANDAL

Poema Portafortuna

 

 

 

Le fonti di ispirazione di «GARABANDAL, POEMA PORTAFORTUNA»

(ovvero la musica che ho ascoltato durante la realizzazione dell’album...)

 

Evanthia Reboutsika

Mike Oldfield

Yann Tiersen

Javier Navarrete

Pink Floyd

Alexander Scriabin

… e Marc Chagall.

 

 

 

Cosa ho preso da Evanthia Reboutsika

Non conoscevo Evanthia Reboutsika sino a quando non vidi “Un tocco di zenzero”.

Si tratta di un film delizioso che vi consiglio, ma quello che a me colpì davvero fu la colonna sonora, di Evanthia Reboutsika, appunto.

Evanthia è greca, compone musica dal piacevolissimo sapore melodico, nella quale Oriente e Occidente si incontrano e si abbracciano scambiandosi, a volte, gli strumenti.

Grazie a Dio ci sono ancora musicisti a questo mondo che riescono a fare musica anche senza basso e batteria.

Evanthia compone, suona e, talvolta, canta anche. Ha una bellissima voce, ma non è ossessionata dalle canzoni (come accade invece per quasi tutti i musicisti contemporanei) e personalmente preferisco i suoi affreschi strumentali, così ricchi e intensi, alle canzoni.

Mi procurai non solo la colonna sonora di “Un tocco di zenzero”, ma anche i suoi altri lavori: Babam ve Oglum, To asteri kai i efhi, Mikres istories, O Xoros ton Astron, e sono tutti ottimi dischi.

Li ho ascoltati moltissimo nel periodo in cui ho realizzato Garabandal e questo mi ha senza dubbio condizionato, almeno in alcuni momenti. In particolare posso dire che la melodia d’apertura di “Namtaru” (la quinta traccia del cd) è senza dubbio nata dalle suggestioni indotte dalla musica di Evanthia.

Mi sono dimenticato  di dire che Evanthia è anche una donna bellissima. E questo rende ancora più piacevole l’ascolto della sua musica…

 

 

Cosa ho preso da Mike Oldfield

La musica di Mike Oldfield mi accompagna da quando ho 14 anni. Eppure di tutta la sua vastissima produzione musicale soltanto tre album hanno lasciato il segno su di me: i primi tre, quelli che realizzò negli anni ’70, in meno di un lustro, dai 17 ai 23 anni.

Così giovane, così pieno di talento, così interessante come persona. Mike Oldfield era allora un ragazzo schivo, un vero anti-divo, che viveva in campagna e, quando non suonava, passava il tempo facendo volare alianti e passeggiando a cavallo fra le colline.

Poi deve essergli successo qualcosa, perché a un certo punto si è trasformato diventando una persona completamente diversa (e peggiore): ha cominciato a fare una musica vuota, senz’anima, commerciale e decisamente brutta. Ha abbandonato di colpo la sobrietà dei casali di campagna ed è passato al lusso delle megaville a Ibiza, alle Ferrari, alle moto, alla vita notturna, alle donne… cambiando ognuna di queste cose con estrema velocità e lasciandosi quasi una decina di figli alle spalle.

Oggi vive con l’ennesima moglie (che ha la stessa età della sua primogenita), nell’ennesima villa alle Baleari, ha uno yacht e colleziona moto potenti. Ha pure detto di essere stanco di fare musica (ma và?).

Colpa dei soldi? Della fama? Della troppa fortuna?

Non lo so e neppure mi interessa, sono fatti suoi, dopotutto.

Resta però il fatto che Tubular Bells, Hergest Ridge e Ommadawn (i suoi primi 3 album) sono capolavori e, per me, sono come quei libri che tengo vicino al letto perché non mi stancano mai, e in qualunque momento li riprendo mi rivelano sempre qualcosa di nuovo.

Credo di avere ascoltato questi dischi centinaia di volte e non me ne sono ancora stancato; in ogni fase della mia vita hanno assunto sempre una forma nuova, un sapore diverso… come accade quando abbiamo a che fare con dei veri capolavori.

Chi conosce la musica del primo Mike Oldfield riconoscerà subito la sua influenza in “Garabandal”, soprattutto nella struttura a suite dei brani, nella scelta di alcuni suoni tipici (per es. le vintage “string machine”, le percussioni orchestrali, le campane…), nel suono fluido della chitarra elettrica e in altri registri stilistici ancora. Molti di questi influssi sono involontari, nel senso che lo stile ‘oldfieldiano’ è talmente radicato in me che nemmeno io me ne rendo conto quando trapela dalla scelta di questa o quella soluzione timbrica.

L’unica scelta consapevole che ho tratto dallo stile di Mike Oldfield è la conclusione di tutto il progetto del disco con una ‘marcetta’.

Mi spiego: mi è sempre piaciuto il modo in cui Mike Oldfield chiudeva i suoi album mettendo proprio negli ultimi minuti del lato B una improvvisa e festosa “marcia”, ovvero un brano in 4/4 veloce e trascinante dal sapore di tipica danza tradizionale (e a volte lo era davvero).

Si congedava dall’ascoltatore con un momento musicale gioioso e divertente.  Ha fatto questo in Tubular Bells (con la notissima “The Sailor’s hornpipe”), in Ommadawn e in altri album ancora.

Era come un fuoco d’artificio, un saluto festoso dalla carrozza nel momento in cui l’amico del cuore si congeda dicendoci: “la musica è finita, ma non essere triste, c’è tanta gioia nel mondo, ci rivedremo presto!”.

Così ho voluto fare io, e ho chiuso “Pipalun”, che è l’ultima traccia di “Garabandal”, con una “marcetta”, ossia con qualche minuto di musica dal sapore festoso, quasi infantile, scandito da poche ma galoppanti percussioni acustiche: ciò che io chiamo, appunto, una “marcetta” e che è, nonostante la definizione che può apparire riduttiva, un modo bellissimo di uscire di scena: un modo solare e positivo.

Come si dovrebbe fare anche nella vita.

 

                        

 

il PRIMO È il giovane Mike, ai tempi in cui si dedicava alla musica, alla natura, alla campagna... L’altro è il Mike di oggi, quello con troppe mogli, troppi figli, troppi soldi...

 

 

Cosa ho preso da Yann Tiersen e Javier Navarrete

Francese il primo, spagnolo il secondo, ma con alcuni registri stilistici che li accomunano: la semplicità delle melodie suonate però con incredibile maestrìa; la miscela speziata di strumenti di estrazione classica con strumenti della tradizione popolare... persino i caratteri di entrambi i compositori si assomigliano: schivi e umili, lontani dalle stravaganze delle star... queste sono le ragioni per cui le atmosfere musicali di Yann Tiersen e Javier Navarrete sono così magiche e poetiche, anche quando si tratta solo di affreschi talmente brevi da sembrare solo appunti.

Non a caso le composizioni di questi due musicisti sono diventati commenti sonori in alcuni film decisamente onirici e fantastici, quali “Il favoloso mondo di Amèlie” per il primo, e “Il Labirinto del Fauno” per il secondo (da cui è tratta l’immagine qui a fianco).

Da loro ho imparato a non allontanarmi mai dalla semplicità, perché solo così si possono scrivere versi poetici usando le note invece delle parole...

 

 

 

 

 

Cosa ho preso dai Pink Floyd

Nick Mason, il batterista dei Pink Floyd, ha scritto in questi anni “Inside Out” un voluminoso libro sulla storia della band, da prima che i Pink Floyd nascessero sino ai giorni nostri.

In questo libro, piacevolissimo, racconta di come un gruppo di amici, compagni di studi, cominciarono a suonare per divertimento dopo le lezioni. Il caso ha voluto che facessero questo in un periodo della storia, ossia a metà degli anni ’60, quando la società era in tale fermento e assetata di linfa artistica, che la musica veniva considerata dai giovani un genere di prima necessità (prima che qualche demone inventasse i telefonini...)

E dato che molto c’era allora ancora da inventare, da scoprire e da creare, i più creativi e ingegnosi avevano grandi spazi di manovra e sicure possibilità di carriera. Chi aveva delle idee aveva anche l’opportunità di metterle a frutto (a differenza di oggi i cui parametri di affermazione in campo culturale e artistico non hanno nulla a che vedere con la qualità delle idee).

I Pink Floyd avevano talento artistico, talento creativo e talento ingegneristico, per questo sono diventati i Pink Floyd.

Nick Mason racconta di come nascevano i loro progetti musicali, della voglia di sperimentare soluzioni sempre nuove, di come con materiali di fortuna davano corpo a cose geniali (per esempio: il cuore che pulsa in apertura di “The Dark Side of The Moon” non è mica un cuore vero… è fatto percuotendo una cassa riempita di stracci) e di come non fossero per nulla interessati a comporre delle “hit”, cioè delle canzoni furbe da vendere al mercato di consumo (sebbene alcuni loro brani siano incidentalmente diventati delle hit).

I loro album nascevano da idee culturali, le stesse che gli scrittori usano per i libri, i pittori per i quadri, gli sceneggiatori per le pièces teatrali o i film… che diventavano il perno intorno a cui costruivano l’album. Legavano i brani fra loro con momenti musicali di transizione in modo che ci fosse continuità nell’ascolto e il progetto risultasse omogeneo, ossia non frammentato in tante canzoni indipendenti.

Come per Mike Oldfield, anche per i Pink Floyd questo momento magico durò poco, sostanzialmente un decennio, dopodiché si allinearono agli standard del  mercato (o, per meglio dire, persero la spinta creativa). Fecero comunque in tempo a realizzare una mezza dozzina di album straordinari, che non cito nemmeno dando per scontato che tutti sappiano a quali mi riferisco.

Questi loro primi album hanno ancora molto da dire ai musicisti di oggi, specie a quelli che rifiutano di farsi ingabbiare nella camicia di forza della musica standard, quella musica buona per le radio commerciali, della musica per la televisione e per gli “utenti” bulimici e superficiali che i direttori di marketing manovrano come burattini.

Chi vuol fare davvero buona musica, non può ignorare il lavoro che i Pink Floyd hanno fatto dal 1968 al 1978…

 

 

Cosa ho preso da Alexander Scriabin… e Marc Chagall

Con Scriabin la musica rivela il suo potere sovrannaturale, e Scriabin ne era forse consapevole dato che riteneva che se si fosse potuto inondare il mondo con le note appropriate, le guerre e i conflitti fra popoli sarebbero cessati. Un’utopia certo, e non tanto per la difficoltà tecnica di avvolgere il mondo di musica, quanto per le enormi differenze di linguaggio e di cultura musicale che sussistono fra gli uomini (ragion per cui una musica apprezzata a Oriente può risultare insopportabile a Occidente, e viceversa). Ma il principio in senso assoluto è valido, e lo si può constatare quelle rare volte in cui si ha la fortuna di ascoltare una musica che fa davvero vibrare le nostre segrete corde interiori: non ci si sente dopo più consolati e bendisposti verso la realtà? Pieni di buone vibrazioni? Sollevati e contenti? Non so voi, ma a me certa musica fa davvero questo effetto.

Forse perché per un attimo permette di intravedere un mondo più bello e luminoso di quello in cui normalmente viviamo; un mondo in cui le cose rispondono ad altre leggi, leggi meno castranti e materiali di quelle con i quali facciamo i conti tutti i giorni.

Scriabin ha descritto questo mondo con le note, Chagall lo ha dipinto, e basta perdersi in una qualunque delle sue tele per avere la sensazione di entrare in un universo magico.

Sono mondi nei quali amo rifugiarmi spesso, e dai quali torno con un po’ di polverina magica nelle tasche, che poi riutilizzo quando scrivo.

Nel booklet del cd ho incluso un testo, “Gli Angeli di Chagall”, in cui partendo da questi spunti, cerco di mostrare i rapporti stretti che legano l’arte, la natura  e quanto la nostra anima faccia parte di questa rete di relazioni... 

 

 

Bene, questi sono stati i miei spiriti guida nella realizzazione di GARABANDAL... cosa significa Garabandal, i simboli che sono riportati nel booklet, il messaggio in codice morse all’inizio della seconda traccia e perché l’ho chiamato “Poema portafortuna” ve lo racconterò un’altra volta.

Grazie dell’attenzione.

 

Franco Del Moro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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